Posts Tagged ‘lavoro

11
Mar
09

settore “aziende etniche”

Una nuova direttiva dell”Unione Europea introduce specifiche sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano immigrati irregolari, l’art. 15 di tale direttiva, citato nella circolare n. 27, dice testualmente : “Gli Stati membri garantiscono che ogni anno almeno il 10% delle imprese stabilite sul loro territorio siano oggetto di ispezioni ai fini del controllo dell’impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare.”

Al fine di recepire tale direttiva l’INPS ha steso la circolare 27 del 25 febbraio 2009 nella quale si individua un nuovo settore d’intervento le “Aziende Etniche” !!!!termine coniato dall’INPS stessa e non presente nella direttiva europea.

Si, non avete capito male: Aziende Etniche,  che la circolare mette al primo posto tra le aeree da controllare così dicendo “Nel 2009 dovrà essere privilegiata l’azione di vigilanza nei confronti delle realtà economiche gestite da minoranze etniche o organizzate con l’impiego di lavoratori appartenenti alle citate minoranze, operanti spesso, al di fuori di qualunque regolamentazione di carattere lavoristico, previdenziale e fiscale e che realizzano non di rado vere e proprie forme di sfruttamento della manodopera impegnata”

Quindi facendo un equazione, ormai diffusa nel nostro paese, straniero=delinquente l’INPS dimostra il carattere sempre più razzista non solo della società ma anche delle istituzioni italiane.

La circolare continua dicendo “Ma soprattutto l’evoluzione multietnica che la nostra società ha assunto negli ultimi anni ha profondamente modificato il tessuto produttivo di molte realtà locali ed ha influito sulla caratterizzazione del “sommerso”, tenuto conto anche che alcune comunità sono state capaci di sviluppare un’attività produttiva estremamente competitiva e non di rado totalmente sommersa”.

Come se tutti noi non sapessimo quanto il lavoro nero è diffuso tra i nostri imprenditori e padroncini vari, tra chi assume a “stagione”, nel settore edile.

23
Apr
08

Edili, uno sciopero contro la barbarie e i caporali

Blocco totale il 24 Salari da fame, malattia non pagata, rapporti semifeudali, sicurezza inesistente. Anche il Nordest scopre di essere molto simile al resto d’Italia. Quasi nessuno sa dire il nome della ditta per cui lavora, si conosce solo chi ti ha fatto «entrare»
Orsola Casagrande
Venezia


Scenderanno in piazza giovedì anche a Padova i lavoratori del settore edile del Veneto. Una manifestazione che ha al centro soprattutto la richiesta di diritti. Ci tiene a sottolinearlo il segretario generale della Fillea Cgil, Enrico Piron. «Certo – dice – c’è la rivendicazione salariale, ma questo nostro sciopero è prima di tutto per chiedere che vengano riconosciuti diritti che rivendichiamo anche da venticinque anni». Il riferimento è per esempio al fatto che ancora oggi un lavoratore edile non si vede pagati i primi tre giorni di malattia. «Questi sono lavoratori che non hanno diritto di ammalarsi, anche se lavorano in condizioni terribili, al freddo, all’aperto. – dice Piron – E sono lavoratori che possono ancora essere licenziati per fine cantiere o per insubordinazione». Che significa per esempio che se un lavoratore si rifiuta di fare una determinata operazione perché non sicura rischia di essere punito. E il settore edile quanto a infortuni è quello tra i peggiori. In Veneto sono occupate oltre 60mila persone nel settore (in Italia 1 milione 200mila). Nel 2007 ci sono stati 22 infortuni mortali, su un totale di 235, che pongono la regione al secondo posto, dopo la Lombardia. Nel 2006 gli infortuni denunciati all’Inail (quindi dati per difetto) sono stati poco meno di 104mila. «Quello dell’edilizia – dice Piron – negli ultimi dieci anni è stato uno dei settori di traino dell’economia veneta nel momento in cui il tessile, meccanico, calzaturiero e alimentare perdevano terreno». Anche perché edilizia qui significa anche turismo, manutenzione alberghiera oltre a restauro monumenti. Ma l’edilizia è il settore in cui si assiste alle destrutturazione sempre più spinta delle imprese. Basta un dato: oltre il 60% della manodopera è collocata in aziende con meno di tre dipendenti e soltanto il 3% lavora in aziende con più di quindici addetti. «Si è assistito – dice Piron – alla proliferazione delle piccole aziende. Alcune sono imprese uninominali, magari di lavoratori migranti che sono stati ‘invitati’ a mettersi in proprio per bypassare le regole». Anche in Veneto il settore è ormai «una catena infinita di subappalti e si nota – dice ancora il segretario di Venezia – una preoccupante presenza del part time».
Per rendersi conto di quanto il settore sia parcellizzato basta andare in un qualunque cantiere della città e chiedere ai lavoratori per chi lavorano. «Il 60% – afferma Piron – ti dirà soltanto il nome proprio del tizio per cui lavora. Lavorano per Tony o Giuseppe, pochissimi ti diranno il nome di una ditta». E poi rimane il problema del lavoro sommerso e delle continue violazioni contrattuali. I dati dell’Inps parlano di un lavoratore su quattro fuori regola. «Il problema maggiore – dice ancora Piron – riguarda le mille sfumature di grigio che dobbiamo contrastare». Il grigio è rappresentato dall’oretta fuori busta, il sabato di lavoro, qualche ora in più alla sera. Dopo dieci anni di mestiere («perché questo – dice sempre Piron – è un mestiere che si impara con ore e ore di lavoro») un edile prende ancora 1100-1200 euro e questo non è accettabile. Gli operai arrivano ancora dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Sicilia col pulmino e il caporale. E guai a protestare Gli ispettori sono pochi. E le violazioni sono aumentate anche dopo l’introduzione di nuovi strumenti di controllo. Un esempio su tutti: se più della metà della categoria è inquadrata al livello più basso di manovalanza, il part time, prima inesistente, dilaga da quando è stato introdotto il Durc (documento di regolarità contributiva delle imprese). Per contrastare tutto questo giovedì gli edili saranno in piazza a Padova.
08
Dic
07

Flessibile da morire

Loris Campetti

Era molto flessibile Antonio, un giovane di 36 anni ucciso ieri alla Thyssenkrupp di Torino. Ucciso non da un incidente, non da un infortunio: ucciso dallo sfruttamento selvaggio che fa tirare a mille gli impianti fino a far esplodere le macchine e costringe a un lavoro bestiale gli operai. Al momento in cui quel maledetto tubo che trasportava olio bollente è stato colpito da una scintilla sprigionatasi dal quadro elettrico s’è spezzato, trasformandosi in un lanciafiamme, Antonio e una decina di ragazzi come lui sono stati colpiti. Tutto e tutti hanno preso fuoco, gli estintori non funzionavano, la linea 5 delle ex Ferriere sembrava una città bombardata con il napalm, raccontano i sopravvissuti. Quando si è trasformato in una torcia umana, alle due di notte, Antonio era alla quarta ora di straordinario. Dunque era alla dodicesima ora di lavoro in quell’inferno.
Antonio era molto flessibile, come tutti gli altri ragazzi della Thyssenkrupp. Alle 12 ore di lavoro ne aggiungeva ogni giorno due o tre di viaggio da casa, nel Cuneese, alla fabbrica, e ritorno. Non è che gli restasse molto tempo per la sua compagna e i suoi tre bambini, la più grande di 6 anni e il più piccolo di 2 mesi. Antonio era proprio il tipo di operaio di cui ha bisogno un padrone tedesco che decide di chiudere la fabbrica di Torino per portare la produzione in Germania, ma prima di mettere i sigilli agli impianti vuole tirare fino all’ultima goccia di sangue alle macchine e agli uomini, ai ragazzi. Per questo una decina di loro ha preso fuoco, nel 2007, nell’occidente avanzato, sotto il comando di Thyssenkrupp, un nome che se scomposto in due rimanda ad altri fuochi, a un altro secolo, a un’altra guerra.
C’è la fila, adesso, di quelli che si lamentano per la mancanza di sicurezza sul lavoro. Forse tutti si erano distratti: presi com’erano a combattere l’insicurezza provocata dai rumeni si sono dimenticati della guerra quotidiana in fabbrica, nei campi, nei cantieri. Chi oggi dice che servono maggiori misure di sicurezza sul lavoro dovrebbe aggiungere che il modello sociale ed economico dominante è criminale. Chi chiede di produrre di più, per più ore nel giorno e per più anni nella vita è corresponsabile dei crimini quotidiani sul lavoro. La sicurezza è incompatibile con l’accumulazione selvaggia, togliendo dignità e diritti ai lavoratori si aumenta l’insicurezza, sul lavoro e nella vita.
I teorici del liberismo, della fine del welfare, di quella che spudoratamente chiamano flessibilità ma che per noi è precarietà, hanno tutti i diritti nella nostra società. Ma uno almeno non ce l’hanno: quello di piangere i morti sul lavoro perché quei morti sono vittime della loro cultura e della loro fame di danaro e di potere. I tre bambini di quel paesino del cuneese che si chiama Envie non sanno che farsene delle loro lacrime. E noi con loro.
Probabilmente i cancelli della fabbrica torinese della Thyssenkrupp non riaprirà mai più. Speriamo che non riapra più, il prezzo da pagare per tenerla aperta è troppo alto.




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